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Itinerario L’Argentiera 97 m – Inizio piano inclinato del Bottino 110 m c. - Miniere del Bottino (laverie) 259 m – Due Canali – Rudere q. 390 m c. (stazione arrivo piano inclinato) – ruderi q. 430 m c. – Affioramento “ I Senicioni “ 500 m c. – Galleria del Casello 550 m c. – Crinale tra Gallena e Miniere del Bottino 644 m – Sella q. 801 m – Pizzi dell'Argentiera (cima Est) m 861 – Pizzi del Bottino (cima principale) 870 m – Casa Zuffone 745 m – sent. per Capezzano – Bivio sent. Casa di M. Ornato 690 m c. – Casa di M. Ornato 695 m – Cresta Ovest Pizzi dell'Argentiera 710 m c. – sent. per Gallena – Presa Acquedotto – Gallena 349 m – Ponte di Gallena 82 m – L’Argentiera 97 m
Difficoltà EE dalle Miniere del Bottino (laverie) a Casa Zuffone, necessario orientamento; E il resto
Dislivelli salita: 859 m; discesa: 859 m
Ore effettive L'Argentiera - Miniere del Bottino 1h 15'; Miniere del Bottino - Rudere q. 390 m 0h 30'; Rudere q. 390 m c. - I Senicioni 0h 20'; I Senicioni - Crinale tra Gallena e Miniere del Bottino 0h 40'; Crinale tra Gallena e Miniere del Bottino - Sella q. 801 m 0h 30'; Sella q. 801 m c. - Pizzi dell'Argentiera (cima Est) 0h 15'; Pizzi dell'Argentiera (cima Est) - Pizzi del Bottino (cima principale) 0h 30'; Pizzi del Bottino (cima principale) - Casa Zuffone 0h 30'; Casa Zuffone - Gallena 1h 45'; Gallena - Ponte di Gallena 0h 30'; Ponte di Gallena - L'Argentiera 0h 15'
Periodo migliore Primavera e Autunno
Partecipanti Giuseppe Berti, Mirto Blasich
Siamo stati il 23 Marzo 2003

 

In un passato recente le Alpi Apuane sono state interessate da diversi insediamenti minerari. L’attività estrattiva si è sviluppata in diversi siti, ma la zona più importante è stata senz’altro quella del Bottino.

Le miniere del Bottino, attive dal XVI secolo fino al 1960, consentivano di estrarre discrete quantità di Galena (Solfuro di Piombo) da cui, mediante fusione ed altri trattamenti, si ricavava l’Argento.

A distanza di poche decine di anni dalla chiusura, la vegetazione ha riconquistato in larga parte gli edifici e i manufatti: sembra incredibile che qui ci fosse uno dei più grandi centri minerari d’Italia.

 

Salita

Punto di partenza di questo itinerario è la località di Argentiera 97 m, che si raggiunge brevemente dal paese di Seravezza percorrendo la strada di fondovalle.

Lasciata l’auto presso uno slargo, si attraversa il Fiume Vezza su ponte pedonale (catena e divieto di accesso per proprietà privata). Si segue la stradina fino ad uno spiazzo erboso: sulla destra c’è un vecchio carrello minerario, dritto si entra in una proprietà privata (recinzione), mentre a sinistra parte il piano inclinato del Bottino (110 m c.).

Dalla vegetazione sempre più invadente emergono i ruderi di antichi edifici e della stazione inferiore di una teleferica.

Il piano inclinato, conservatosi molto bene negli anni, inizia gradualmente a salire addentrandosi nel Canale del Bottino. A q. 125 c. attraversa una prima volta il canale in due campate: oggi le travi di legno non ci sono più, dunque occorre scendere verso destra, passare il fosso (acqua), e risalire sul piano inclinato.

Il percorso prosegue con una ben conservata galleria (attenzione alle pietre scivolose), uscendo dalla quale la massicciata passa il torrente di nuovo (questa volta con tre campate; notevoli i pilastri di sostegno). Una buona traccia consente di mantenersi a sinistra del fosso, ma non appena è possibile è preferibile ritornare sul piano inclinato: così abbiamo fatto noi, passando il canale in corrispondenza di un tratto a lastroni e scalando la massicciata (prudenza per il muschio), ritrovandoci poco a monte dello sbocco della seconda galleria.

Con stupefacente regolarità il piano continua a rimontare la valle. In un punto la rada vegetazione consente di scorgere le appuntite vette del M. Ornato (Pizzi del Bottino sulla Carta Tecnica Regionale) in controluce. Dove i rovi ostacolano il cammino, si scende dalla massicciata sfruttando dei sassi posti a mo’ di scalini, infissi nel muro: il suolo coperto da detriti fini fa presagire la vicinanza delle miniere, ed infatti poco più avanti si trovano i resti di grandi vasche ed edifici.

Si tratta delle laverie del Bottino (259 m).

Dalla folta vegetazione si alzano ancora due caseggiati tra i quali corre il piano inclinato. Superando una macchia fitta di rovi e sterpi, ci si porta ai resti di un ponte: da queste parti dovrebbe trovarsi l’ingresso, franato, della galleria “ Due Canali “.

Dei due impluvi occorre prendere quello di destra, salendo. Questo se si vuole raggiungere la zona estrattiva vera e propria. Accanto al fosso, sulla destra idrografica, correva una grande lizza sostenuta da poderosi muraglioni. Nella prima parte il percorso è stato danneggiato dall’erosione dell’acqua ed è praticamente scomparso. Più in alto, invece, si ritrova il vecchio manufatto (alcune tracce di sentiero si dirigono a mezza costa verso il Canale del Bottino in direzione di altri ruderi e, con tutta probabilità, verso il Colle dello Sciorinello, zona di altri ingressi minerari).

A quota 390 m circa si incontrano i resti di quella che doveva essere la stazione di arrivo del piano inclinato: all’interno dell’edificio si rinviene l’alloggiamento del motore che probabilmente muoveva i carrelli.

Da qui inizia una buona mulattiera che sempre in destra orografica  porta dapprima ad altri ruderi preceduti da una discarica di detriti fini (q. 430 circa: vecchia fornace ed abitazione dei minatori; segno rosso), quindi raggiunge finalmente alcuni ingressi minerari.

Il primo che abbiamo visto, deviando sulla sinistra dal sentiero principale, è caratterizzato da una corrente di aria calda ed umida (calda rispetto alla temperatura esterna di Marzo). La galleria è percorribile agevolmente per una decina di metri, poi alcuni franamenti ne riducono drasticamente la sezione utile.

Ritornando sul sentiero (ogni tanto sugli alberi qualche segno rosso o blu), in prossimità del fosso si rinvengono due grandi anfratti: il primo, molto grande, è stato adattato in passato a bivacco; il secondo, molto più piccolo, è completamente allagato con stillicidio (l’acqua è molto profonda, probabilmente si tratta di una sorgente).

Al di là del fosso si apre una grandiosa voragine: è il principale ingresso delle miniere “ Senicioni “ 500 m c. A prima vista sembrerebbe una grotta naturale, ma un attento esame dei luoghi rivela invece che è stato l’uomo l’artefice di tutto: resti di un muretto a secco difendono l’ingresso della miniera dalle acque del fosso; ben evidente appare l’intento di difendersi dalle acque che, colando dai lastroni soprastanti fin dentro la miniera, disturbavano il lavoro degli uomini: per ovviare a questo inconveniente è stata scalpellata nella viva roccia una canaletta per drenare le acque; in corrispondenza del fosso, infine, si può riconoscere un foro di forma grosso modo circolare che probabilmente serviva per fissare meglio un ponticello di tavole sul fondo roccioso del canale (secondo la Carta Tecnica Regionale, si trova qui il sentiero per Gallena che dovrebbe proseguire poi verso il Colle dello Sciorinello) .

Gli ingressi delle miniere non sono finiti qui. Il sentiero continua sempre in destra orografica fino a quando l’impluvio si biforca (q. 515 circa): una traccia si dirige nettamente verso sinistra, un’altra attraversa i due fossetti portandosi in sinistra orografica (in un punto si cammina su un lastrone scalpellato).

Probabilmente il sentiero di sinistra si dirige verso il Colle dello Sciorinello, zona in cui si dovrebbero trovare altre miniere.

Seguendo la traccia di destra, si attraversano i due impluvi portandosi sulla sinistra orografica del costone che divide il versante di Gallena con il versante del Bottino. Dapprima il sentiero va in direzione Nord – Ovest e si presenta un bivio: probabilmente a destra è possibile andare verso Gallena. A sinistra, invece, si rimane poco alti sopra il fosso e si trova un altro ingresso minerario in corrispondenza di uno slargo artificiale: è la galleria del Casello (q. 550 m circa).

L’ingresso è accanto al fosso, ed entrando in galleria (dalle pareti asciutte) per qualche metro si trova a sinistra una voragine e più avanti una biforcazione: un cunicolo meno ampio prosegue in avanti, mentre a sinistra sale molto ripidamente una galleria di circa 20 metri di lunghezza, di cui si vede lo sbocco.

Dallo slargo artificiale si continua in salita con qualche svolta, passando a poca distanza da un altro ingresso: è lo sbocco della deviazione di 20 metri incontrata percorrendo la miniera dall’ingresso precedente.

Il sentiero, ora ripido, sale ben tracciato nel bosco (qualche arbusto e qualche lastrone rendono il cammino più disagevole) e con un ultima serie di svolte (resti di massicciata) raggiunge il crinale tra Gallena ed il Bottino in corrispondenza della quota 644 m. Il bosco meno rado permette di ammirare da qui le aguzze vette del M. Ornato (localmente dette Pizzi dell’Argentiera e Pizzi del Bottino).

Sul versante di Gallena si estende un fitto castagneto ma il sottobosco è praticamente assente.

Si nota che un buon sentiero, proveniente da valle, va a rimontare il costone appena raggiunto: per andare a Gallena è questa la via da seguire.

Per il M. Ornato si prende a salire lungo il costone boscoso, lasciando più in alto un’evidente traccia che pare puntare verso il canalone che altro non è che la prosecuzione dell’impluvio delle ultime miniere visitate. Con qualche disagio per il terreno sconnesso, mantenendosi poco a sinistra dello spartiacque, si guadagna nuovamente il crinale, ora meno erto, fino a raggiungere un’ampia sella boschiva (grosse querce; rudere; piccolo pantano) quotata 801 m sulla Carta Tecnica Regionale. Tra gli alberi si intravede la costa.

In pochi minuti, dirigendosi ad Est, si guadagna una cima del M. Ornato (861 m), superando da ultimo un breve tratto coperto di spinoso ginestrone. La C.T.R. nomina questa altura, assieme alla quota 807 subito ad Ovest della sella q. 801, Pizzi dell’Argentiera. La carta I.G.M. la considera invece una delle punte del M. Ornato.

Da qui si vedono benissimo le altre punte, coperte da cespugli sul lato meridionale e precipiti a settentrione. E’ ben visibile anche il M. Rocca, in prevalenza boscoso, mentre il M. Lieto appare in secondo piano, molto lontano.

Il pizzo più alto merita senz’altro una visita. A questo scopo bisogna perdere circa 30 metri tra ginestroni, arbusti e rado bosco fino ad una prima sella (832 m). Quindi, alla meno peggio, si segue una traccia di animali (fitti arbusti) che costeggia alla base la q. 856 fino ad una seconda sella, caratteristica perché cosparsa di grossi massi coperti di spesso muschio (833 m). Ancora una traccia si porta sul versante meridionale della punta più alta del M. Ornato (oppure, secondo la C.T.R., la punta massima dei Pizzi del Bottino) e per lastroni scistosi abbastanza solidi, coperti saltuariamente di erba, si raggiunge finalmente la cima (870 m).

Anche il M. Ornato, come spesso accade sulle Apuane alle cime secondarie, presenta un panorama molto interessante.

A meridione si estendono le ultime propaggini e la costa con il mare, verso settentrione si apre a ventaglio la catena apuana, con lo sguardo che può spaziare dal M. Sagro al M. Altissimo, dal M. dei Ronchi al M. Corchia, dalla Pania della Croce (e Secca) fino alle Apuane Meridionali. Molto interessante la vista sui sottostanti e profondi valloni che scendono verso Ruosina e Pontestazzemese.

 

Discesa

La discesa dal M. Ornato si svolge lungo il percorso di salita fino alla sella ad Est del monte (833 m), quindi conviene calarsi nel bosco dove mancano gli arbusti fino ad incontrare una grande mulattiera: è questo il sentiero n° 3 del CAI che da S. Anna va a Farnocchia. Lo si segue in discesa fino ad un bivio: si prende a sinistra e in pochi metri ecco i ruderi di Casa Zuffone (745 m).

Il luogo è frequentato dai turisti domenicali per il facile e rapido accesso da S. Anna e per la tranquillità (alcune panche, alcuni tavoli e un posto per grigliate), sotto l’ombra di grandi lecci.

Una grande mulattiera lastricata sale da Capezzano fin qui, proseguendo per S. Anna. In corrispondenza del bivio con il sentiero per Farnocchia, piccola edicola e quaderno in una custodia metallica per le firme dei visitatori.

Per andare a Gallena, la cosa più conveniente da fare è seguire in discesa la mulattiera lastricata in direzione di Capezzano; l’alternativa, seguire brevemente il sentiero per Farnocchia e prendere al bivio la traccia di sinistra, è del tutto sconsigliabile perché ci si ritrova in una fittissima zona arbustiva di ginestrone e stipa.

In moderata discesa la bella mulattiera conduce, dopo un paio di tornanti, ad un bivio importante (685 m circa) poco sopra la sella che separa il M. Anchiana dal M. Ornato: a sinistra, scendendo, si va verso Capezzano; a destra, in salita, si intravedono i ruderi della Casa di M. Ornato (695 m) presso la quale si passa.

La casa è ormai un rudere, ma un piccolo vano è ancora fruibile come ricovero di fortuna ed una scritta sul muro invita a non danneggiare il locale. Nei pressi, piccola sorgente e vecchia burraia invasa dall’acqua; inoltre, caratteristico boschetto di bambù.

Dalla casa, per evitare zone invase dai rovi, si guadagna una decina di metri in salita per poi traversare in quota portandosi sul costone Ovest del M. Ornato. Tra gli alberi s’intravede Gallena: è quindi possibile scegliere la direzione migliore da seguire. Come punto di riferimento, si può prendere una cresta boscosa secondaria (è la cresta Nord – Ovest del M. Ornato): tale cresta presenta in un punto una macchia di ginestrone che arriva fino allo spartiacque. Come riferimento, occorre scavalcare la cresta Nord–Ovest subito prima della macchia di ginestrone.

Attraversando in quota un impluvio si va a doppiare la cresta Nord – Ovest. Con ripide svolte nel castagneto si perde quota velocemente fino a imboccare una buona traccia che più in basso si collega al sentiero che da Gallena sale verso la cresta Nord del M. Ornato. Ormai la via è evidente e senza possibilità di errore.

La mulattiera, ben conservata, passa accanto alla presa dell’acquedotto, difesa con una recinzione; in corrispondenza del castagneto secolare, difeso con terrazzamenti per combattere l’erosione delle acque meteoriche, è possibile dissetarsi presso alcune piccole cisterne che servono anche per dissipare la pressione dell’acqua.

Si giunge infine a Gallena: alla prima casa del paese si nota a destra una grande strada lastricata: molto probabilmente è questa la via per portarsi al Bottino, specialmente alle laverie.

Presso una casa abbiamo scambiato due parole con alcune persone del luogo: si viene a sapere che da Gallena esiste un sentiero che conduce alle cave del M. Costa; guardando meglio il fianco della montagna, in effetti, si scorge qualcosa tra i fitti arbusti.

Il paese di Gallena, in posizione soleggiata, appare accogliente; anche le persone incontrate si sono mostrate cordiali.

Esiste da Gallena un sentiero che scende in valle all’Argentiera, ma le indicazioni ricevute dalla gente del posto non sono state molto incoraggianti. Considerando l’ora tarda del pomeriggio, abbiamo preferito scendere per la strada di accesso al paese, tagliando le curve dove possibile.

Solamente quasi giunti al ponte di Gallena abbiamo potuto constatare che non solo esiste un’ottima mulattiera per il ponte, ma c’è pure un sentiero che, correndo in sinistra orografica alto sopra il Fiume Vezza, si porta all’Argentiera, come intuito da Giuseppe.

Discesi al ponte di Gallena, in un quarto d’ora siamo ritornati all’Argentiera seguendo la strada di fondovalle.

 


 

01 - Giuseppe all'ingresso della prima galleria.jpg 02 - Mirto all'uscita della prima galleria.jpg 03 - Sul piano inclinato del Bottino.jpg 04 - Giuseppe scende dal piano inclinato.jpg 05 - Le laverie del Bottino.jpg 06 - Giuseppe al rudere di q. 390.jpg 07 - Mirto accanto al primo ingresso minerario.jpg 08 - Dentro la miniera.jpg 09 - Giuseppe, l'Esploratore delle Apuane.jpg 10 - Giuseppe sul sentiero poco sotto la quota 644.jpg 11 - La quota 870 dei Pizzi del Bottino.jpg 12 - Giuseppe sulla cima maggiore dei Pizzi del Bottino.jpg 13 - Mirto sulla cima maggiore dei Pizzi del Bottino.jpg 14 - Tavoli e panche a Casa Zuffone.jpg 15 - Gallena con le vette dei Pizzi del Bottino.jpg 16 - Un vagoncino delle miniere del Bottino, ad Argentiera.jpg mappa miniere del bottino.jpg

 

Itinerario Oneta 304 m - Bivio sent. 01 - Santa Cristina 490 m c. - Cresta NNE M. Agliale - M. Agliale (Osservatorio Astronomico) 757 m - S. Bartolomeo 750 m c. - Croce Q. 762 - M. Bargiglio 866 m - Cresta SE M. Bargiglio - Versante Sud M. Bargiglio - Innesto su mulattiera Cune/Crocialino - Bivio 614 m (strada Cune/Crocialino) - Cune 517 m - Via di Oneta - Oneta 304 m
Difficoltà E
Dislivelli salita: 661 m; discesa: 661 m
Ore effettive Oneta - S. Cristina 0h 45'; S. Cristina - M. Agliale 0h 45'; M. Agliale - S. Bartolomeo 0h 25'; S. Bartolomeo - M. Bargiglio 0h 30'; M. Bargiglio - Cune 0h 50'; Cune - Oneta 0h 40'
Periodo migliore Ottobre - Aprile
Partecipanti Giuseppe Berti, Giovanni Blasich, Mirto Blasich
Siamo stati il 16 Gennaio 2005

 

Dei tanti monti poco noti delle Apuane Meridionali, il M. Bargiglio merita una nota particolare. La sua posizione dominante sulle valli del Serchio e della Lima è stata in passato sfruttata per la costruzione di una torre di avvistamento: un punto così strategico da essere soprannominato “ l’Occhio di Lucca “.

 

Testo di: Giovanni Blasich

 

Salita

Il nostro incontro si realizza all’esterno della stazione di Pistoia. Dopo la tradizionale sosta a Ponte a Moriano raggiungiamo, alle 08.40, Oneta (m 304), frazione collinare di Borgo a Mozzano. Verso le 09.00 iniziamo il nostro cammino. Fa abbastanza freddo. Le macchine in sosta hanno uno spesso strato di brina gelata sul tetto. La giornata si presenta soleggiata.

Attraversando il piccolo gruppo di case che si raccoglie intorno alla chiesa, noto il monumento ai caduti dedicato al Paracadutista Daniele Matelli, caduto in tempo di pace al servizio della Patria il 9.11.1971 nelle acque della Meloria. Ricordo vagamente che in quell’anno un Ercules, di stanza a Pisa, di ritorno da una missione di pace (in Congo?) si inabissò davanti a Livorno. Dal monumento seguiamo Via IV Novembre, passando accanto ad una marginetta (334 m) e sbucando sulla strada Oneta – Cune (347 m; nei pressi, casa con alcuni cipressi), superando la quale saliamo per comoda stradella, in direzione nord. Una poiana sorveglia dall’alto i nostri movimenti. Forse siamo passati vicino al suo nido o abbiamo disturbato un suo puntamento di preda.

Una costruzione in alto fra gli alberi è il nostro primo  traguardo. Noto che compare e scompare mano a mano che proseguiamo, seguendo il tracciato della stradella. Arrivati alla sommità del crinale, bivio con una pista forestale percorsa dal sent. n° 01, 475 m c. (che dovrebbe salire fin da Borgo a Mozzano, passando per il borgo di Rocca).

Per alcuni metri saliamo per la pista, poi presso una piccola fontana con cartello di segnalazione del sentiero giriamo bruscamente a sinistra, raggiungendo dopo poco la chiesetta di Santa Cristina (490 m c.), costruzione semplice ma ben conservata. Ovviamente è chiusa, ma si può osservarne l’interno da due piccole finestrelle dell’ingresso. Fra due cipressi, al limitare del viale di accesso, resti di un’altalena.

Tornati sul viottolo principale, al cui margine c’è una fontana, seguiamo le indicazioni di un segnale (sent. n° 01). Ora il sentiero, in leggera salita, si sviluppa nel bosco, all’ombra, sul versante settentrionale del crinale, in direzione Sud-Ovest rimanendo al di sotto della cresta.

Ad un certo punto saliamo bruscamente sulla sinistra e raggiungiamo la sommità del M. Agliale (757 m) dove si trovano due costruzioni, di recente terminate: una è un osservatorio astronomico con il tetto apribile, l’altra è un centro di accoglienza, in fase di completamento. Con nostra sorpresa è aperto. Profuma di legno e di pulito. Non una scritta o cartaccia. Strano, non è stato ancora conosciuto dalle orde distruttrici dei vacanzieri domenicali. Prendiamo dall’interno delle sedie di plastica per sederci comodamente all’esterno. Merenda nel sole e nel silenzio del bosco.

Ripreso il cammino, scendiamo per una ripida stradina in parte asfaltata ad una sella (692 m, marginetta e cartello indicatore per l’osservatorio astronomico; il sent. n° 01 si innesta sulla stradina poco sopra) dove ci sono alcuni casolari al limitare di una radura. Qui bivio con la strada asfaltata che sale da Cune e pannello informativo con rappresentati i sentieri segnati della Media Valle del Serchio. Si sale per la strada principale fino ad un successivo incrocio (710 m circa): un altro cartello fornisce notizie storiche sulla Torre del M. Bargiglio.

 

Questa Torre era chiamata anche “Occhio di Lucca” perché costituiva il sito per mezzo del quale la Repubblica di Lucca, nei secoli XII e XIII, assicurava la sorveglianza sul proprio territorio. La torre del Bargiglio era in collegamento visivo con altre torri, in primis con la Torre di Palazzo di Lucca.

Il sistema di allarme era semplice ma ingegnoso. La presenza di un pericolo era segnalata con il fumo di giorno, con il fuoco la notte. Per ogni cavaliere avvistato si dava un colpo di campana, poi sostituito da un colpo di cannone, chiamato in gergo “botte di coda”. La torre ricevente il segnale rispondeva con un colpo a salve.

 

Una ripida strada sulla sinistra ci porta al romitorio di San Bartolomeo (745 m c.).

Un pannello didattico riporta le seguenti informazioni:

 

“Le prime notizie di insediamenti religiosi nel territorio di Borgo a Mozzano risalgono all’VIII secolo ma solo a partire dal X secolo si assiste all’organizzazione di un vero e proprio sistema di controllo del territorio attraverso il sistema di pievi e di chiese suffraganee. Il romitorio di San Bartolomeo testimonia, nonostante i numerosi rimaneggiamenti, la persistenza ancora verso la fine dell’XI secolo di una tradizione costruttiva locale influenzata dai prototipi lombardi di ascendenza ravennate diversi dalle forme architettoniche riscontrabili in edifici simili e coevi, come la Pieve di Cerreto e di San Giusto di Puticiano. Costruito nel X secolo, il romitorio raggiunse la sistemazione definitiva nel secolo XII – XIII, quando la chiesa venne dotata dell’abside. Il nucleo di San Bartolomeo è ricordato nell’inventario delle chiese della diocesi di Lucca del 1260, nello statuto lucchese del 1308 e nelle Cronache del Sercambi del 1373”.

 

Prima di raggiungere il sito della chiesa si incontrano diverse costruzioni, in buone condizioni, alcune abitate. Un leccio enorme domina le altre piante del bosco. Un corridoio vegetale costituito da piante di bossolo (bussolo dice Giuseppe) affascina per la sua bellezza e meraviglia per il tempo che la pianta (lenta nel suo sviluppo) ha impiegato per arrivare alla conformazione attuale, su un pendio in salita, leggermente curvo: a Cune viene detto “ Via dell’Amore “.

Si perviene quindi sul prato antistante l’abside della chiesa, oggi chiusa. Un tozzo campanile, staccato dalla chiesa, completa il complesso religioso che ha un fascino particolare.

Per un sentiero a zig zag sul crinale raggiungiamo una grande croce, visibile anche di notte dal piano, per la presenza di un filo di lampadine che ne segna il contorno. Panchina per riposarsi e prendere il sole, con veduta panoramica sulla valle del Serchio.

Da qui si scende verso Ovest per una traccia a tornanti che si innesta su un sentiero (a destra è possibile tornare al romitorio di S. Bartolomeo aggirando a Nord la grande croce appena visitata). Continuando per il crinale verso il M. Bargiglio, si trova una evidente traccia che sale da sinistra verso destra: non bisogna proseguire per questa, ma occorre salire dritto imboccando un sentiero: questo bivio non è molto evidente, ma due segni azzurri aiutano nell’individuare la giusta via.

Il sentiero, ben presto piuttosto ripido, sale nel bosco rado e raggiunge l’ampia cresta Nord del M. Bargiglio (ometto), prevalentemente erbosa con qualche basso cespuglio, conducendo allo spiazzo sommitale dove si trovano i resti della Torre (866 m).

Vi saliamo sopra. Di forma circolare conserva ancora la bocca della cisterna ed alcune aperture finestre verso valle. La torre fu costruita verso la fine secolo XIII, inizio secolo XIV, con la forma di torrione a base quadrata. In prosieguo di tempo vi fu innalzata sopra una torre circolare, dotata sia di un cassero quadrangolo con finestre strombate con arco a sesto ribassato, sia di una cisterna di acqua piovana.

Il panorama è davvero superbo. Da Est verso Ovest la successione dei monti è la seguente:

- M. Gennaio, Corno alle Scale, parzialmente innevati;

- M. Giovo, M. Rondinaio, Alpe Tre Potenze;

- Cima Càrici, Pania Secca, Pania della Croce, M. Corchia, M. Croce, M. Matanna, M. Piglione, M. Prana, M. Pedone.

Ai piedi della Torre diroccata un cartello illustra il progetto di recupero della zona:

 

“Il progetto di recupero del sito fortificato del Monte Bargiglio si inserisce in un più ampio intervento che si propone di valorizzare anche le altre attività che in passato furono in qualche modo legate alla struttura militare.

Tutti i lavori sono stati promossi dalla Comunità Montana della Media Valle del Serchio e cofinanziati attraverso il GAL Garfagnana Ambiente e Sviluppo, dalla Comunità Europea, iniziativa LeaderPlus (Liaisons Entre le Developpement de l’Economie Rurale) con Fondi Feoga (Fondo Europeo di Orientamento e Garanzia in Agricoltura).

La Direzione scientifica delle operazioni relative alla ricerca storica ed allo scavo archeologico, condotto sotto la supervisione della Soprintendenza per i beni archeologici della Toscana, è stata affidata all’Università degli Studi de L’Aquila”.

Non riesco a capire se il progetto di recupero sia in atto o se sia concluso con l’installazione di qualche pannello illustrativo, due o tre metri di ringhiera in legno e  niente altro.

 

Discesa

Verso le 13.30 iniziamo la discesa, in direzione Sud-Ovest, utilizzando un buon sentiero che si mantiene nei pressi del crinale. Giunti ad una selletta (825 m c.), si tralascia l’evidente traccia a destra per seguirne una verso sinistra, ignorando sulla destra un altro sentiero quasi nascosto dall’erba.

Quest’ultimo, segnato in azzurro, conduce in breve ad una foce (località Crocialino 780 m circa), nei pressi della strada asfaltata che proviene da Cune. Presso un edificio ed una piccola croce in ferro si stacca un ampio sentiero sassoso che scende a sinistra in direzione di alcuni alpeggi posti a Sud del M. Bargiglio; poco oltre questi si innesta da sinistra il sentiero da noi percorso in discesa. La grande traccia che da Crocialino continua in quota verso Sud aggira la tondeggiante cima de Il Forte e in pochi minuti porta al punto in cui gli amanti di parapendio si lanciano verso Diecimo.

Si continua la discesa tra zone boscose e campi abbandonati, volgendo progressivamente verso Sud e immettendosi quindi nella mulattiera che proviene da Crocialino. La presenza del selciato e di una cappella più in basso conferma che si tratta di una via di comunicazione importante, che probabilmente collegava il paese di Cune con l’abitato di Motrone.

In basso l’ampia mulattiera confluisce, nei pressi di un metato, in una stradina sterrata; poco più giù si raggiunge la strada asfaltata (614 m) che sale da Cune. Anziché continuare con questa, la si attraversa ritrovando il tracciato della vecchia mulattiera che comodamente scende fino alle prime case di Cune (560 m; altra piccola cappella). Seguendo la Via XX Settembre, tra antiche case molto suggestive, si raggiunge la piazza della chiesa di Cune (517 m).

Sosta per un caffè al circolo di Cune. Poi discesa fino ad Oneta, dapprima lungo la Via di Oneta, quindi lungo la strada asfaltata che collega i due paesi (circa 1.5 Km), dove arriviamo verso le 15.30, completando così il nostro circuito ad anello.

 


 

01 - La piccola chiesa di S. Cristina.jpg 02 - Merenda all'osservatorio di M. Agliale.jpg 03 - L'osservatorio astronomico di M. Agliale.jpg 04 - Il M. Bargiglio dal M. Agliale.jpg 05 - La Via dell'Amore.jpg 06 - Le Panie dal M. Bargiglio.jpg 07 - Il M. Agliale dal M. Bargiglio.jpg 08 - Cune e Borgo a Mozzano dal M. Bargiglio.jpg 09 - Borgo a Mozzano e M. Gallione dal M. Bargiglio.jpg 10 - Giuseppe, Giovanni e Mirto sul M. Bargiglio.jpg 11 - Il M. Bargiglio da Sud.jpg 12 - Vecchio macchinario per la lavorazione delle castagne.jpg Mappa_M._Agliale-M._Bargiglio.gif

 

 

Itinerario Trescolli (piazzola manovra bus di linea) 540 m c. - Luciana 520 m c. - Cresta Sud M. Gèvoli (cappella) 600 m c. - La Polla (ruderi) 610 m c. - Cresta Sud M. Gèvoli (cappella) 600 m c. - Rocce di Gèvoli - sent. 107 - Foce ad Est del M. Gèvoli 922 m - M. Gèvoli 951 m - Foce ad Est del M. Gèvoli 922 m - sent. 107 - San Rocchino 800 m - Agriturismo Il Paesaggio 790 m - sent. 106 - Trescolli di sopra - Trescolli (piazzola manovra bus di linea) 540 m c.
Difficoltà EE con passi di I - II grado la cresta S del M. Gèvoli; E il resto
Dislivelli salita: 455 m; discesa: 455 m
Ore effettive Trescolli - Cresta Sud (cappella) 0h 40'; Cresta Sud (cappella) - La Polla 0h 10'; La Polla - Cresta Sud (cappella) 0h 10'; Cresta Sud (cappella) - sent. 107 2h 00'; sent. 107 - M. Gèvoli 0h 15'; M. Gèvoli - San Rocchino 0h 40'; San Rocchino - Agriturismo Il Paesaggio 0h 10'; Agriturismo Il Paesaggio - Trescolli 0h 30'
Periodo migliore Ottobre - Aprile
Partecipanti Giuseppe Berti, Mirto Blasich
Siamo stati il 26 Ottobre 2003

 

Il M. Gèvoli altro non è che una salienza della lunga ampia cresta che dal M. Gàbberi scende al valico di S. Rocchino. L’interesse per questa cima, anch’essa come molte altre poco conosciuta, è costituito dalla pronunciata cresta Sud, rocciosa anche se con molta vegetazione arbustiva. Malgrado questo, l’itinerario qui di seguito descritto soddisferà senz’altro gli amanti delle Apuane selvagge.

 

Salita

L’itinerario ha inizio dalla località di Trescolli, raggiungibile in auto per strada asfaltata da Camaiore e quindi da Casoli. Si parcheggia nei pressi della piazzola di manovra delle corriere di linea (si trova qui il cassonetto dell’immondizia più alto della zona), 540 m c.. La cresta Sud del M. Gèvoli è già ben visibile, con pareti calcaree strapiombanti su questo versante.

Una buona strada asfaltata parte dalla piazzola (indicazione per le case di Luciana) ed in lieve discesa passa un impluvio e termina poco più avanti con un piccolo parcheggio (520 m c.). Inizia da qui un’ottima mulattiera che prende a salire gradualmente nel bosco, passando un fosso (due lavatoi abbandonati; 528 m) e continuando sempre ben tracciata.

Ad un bivio a 550 m c. si lascia a sinistra un grande sentiero che probabilmente scende verso la strada per Casoli non senza toccare frazioni abbandonate. Poco più avanti il terreno diviene prevalentemente roccioso e la mulattiera compie due tornanti (sul primo c’è un corrimano di legno assicurato con staffe metalliche) e raggiunge la cresta Sud del M. Gèvoli presso una piccola cappella (600 m c.). Il luogo merita una sosta per ammirare il panorama.

Si notano qui due sentieri: uno che scende ed uno che sale.

Vale la pena di seguire quello che sale per raggiungere in pochi minuti un acquedotto (è quello che prende l’acqua dalla zona dalla Grotta all’Onda) con una saracinesca, un paio di ruderi e un piccolo lago artificiale: la località si chiama La Polla (610 m c.). Un sentiero continua dagli ultimi ruderi con lievi saliscendi fino ad aggirare nel bosco di lecci un costone (638 m) proveniente dalla cresta Sud del M. Gèvoli: bisognerà scoprire un giorno dove conduce! Un altro sentiero costeggia il lato Est del laghetto e scende decisamente: forse va alle sottostanti case di Setriana (510 m - 550 m, da verificare).

Dalla cappella si segue la cresta Sud del M. Gèvoli: incontrando un prima terrapieno sorretto da una poderosa massicciata e poi un altro spiazzo con una porta in ferro che chiude l’accesso ad una piccola galleria. Il rumore dell’acqua fa intuire che si tratta dell’acquedotto e precisamente di quello che prende l’acqua dalla zona della Grotta all’Onda per portarla fino al laghetto in località La Polla. Oltre che per uso potabile, l’acqua del laghetto viene usata anche per produrre energia elettrica: una condotta forzata scende fino a valle.

La cresta del M. Gèvoli presenta subito difficoltà discontinue con passaggi fino al II grado; la roccia è veramente ottima, solida e con molte buchette, maniglie e fessure create dalla dissoluzione del calcare ad opera dell’acqua. Il percorso non è obbligato, ma è preferibile rimanere nei pressi del filo di cresta allo scopo di incontrare meno arbusti e godere di una maggiore visuale.

Una breve discesa porta ad una prima forcella (710 m c.): dovrebbe essere possibile scendere da qui verso Trescolli per ripido bosco (se non si conosce già questa via di fuga, è meglio non provare!). Si continua per buone rocce, ma più avanti gli arbusti diventano abbastanza fitti da rendere disagevole il cammino. La vegetazione in genere copre la vista del precipizio, ma è bene prestare attenzione a mantenersi ad una distanza di sicurezza dal bordo in quanto gli arbusti costringono spesso ad acrobazie che possono far perdere l’equilibrio.

Quando la cresta diviene nuovamente orizzontale, si trova un’altra sella che viene frequentata dai cacciatori (830 m c.; luogo smacchiato). Appena rientrati nel bosco, scendendo sulla destra per una decina di metri si possono trovare alcune piccole grotte (molto utili in caso di maltempo improvviso).

Si continua sempre lungo la cresta, con percorso ora più aperto e meno roccioso. Prima di entrare nel bosco è possibile scorgere la piccola cima boscosa del M. Gévoli (951 m). La pendenza si attenua e, oltrepassata un’altra zona frequentata dai cacciatori, si trova un sentierino che si innesta nel sentiero CAI n° 107 presso i resti di una teleferica (900 m c.). Per il M. Gèvoli occorre seguire il sentiero segnato verso sinistra (cioè verso il M. Gàbberi) rasentando un’anticima (quota 942 m) incontrando dopo pochi minuti una piccola sella (922 m), sempre nel bosco: caratteristiche alcune piante di agrifoglio.

Dall’insellatura si sale lungo lo spartiacque fino alla cima del M. Gèvoli (951 m) che si presenta, inaspettatamente, quasi del tutto priva di vegetazione. Veduta interessante sull’Alta Versilia fino alle Panie, ai monti Forato, Procinto, Matanna, Piglione, Prana e naturalmente Gàbberi e Lieto.

 

Discesa

Ritornati alla selletta boscosa con le piante di agrifoglio, si prende il comodo sent. n° 107 del CAI che scavalca la cresta Sud del M. Gèvoli e scende decisamente con qualche tornante, rasentando un grosso masso isolato, fino a raggiungere l’ampia sella boscosa di S. Rocchino (800 m): si lascia a sinistra il sent. n° 3 per Farnocchia e a destra il sent. n° 106 per Trescolli, proseguendo fino al termine della strada sterrata che sale da Farnocchia.

Da qui vale la pena di continuare per alcuni minuti lungo il sent. n° 3, molto ampio, e raggiungere una zona prativa con alcune case in felice posizione panoramica: ad un bivio evidente presso una quercia si prende a destra ed in lieve discesa si raggiunge una delle case che è sede dell’Agriturismo Il Paesaggio (790 m c.), dove è possibile consumare uno spuntino in atmosfera familiare.

Per tornare a Trescolli, anziché dirigersi a S. Rocchino è possibile scendere dall’agriturismo  tagliando per campi e bosco, raggiungendo la mulattiera (sent. n° 106) più in basso. Velocemente si perde quota e si tocca una prima volta la strada asfaltata che da Trescolli sale alle case di Trescolli di sopra. Il sentiero segnato consente di tagliare opportunamente qualche tornante della strada, finché non si ritorna alla macchina.

 


 

01 - La Cresta S del M. Gevoli da Trescolli.jpg 02 - Giuseppe presso la cappella sulla cresta S del M. Gevoli.jpg 03 - Giuseppe accanto all'acquedotto.jpg 04 - Giuseppe a La Polla.jpg 05 - Giuseppe affronta le rocce del M. Gevoli.jpg 06 - La seconda parte della cresta.jpg 07 - Sguardo verso il basso.jpg 08 - Il M. Gabberi dalla cresta Sud del M. Gevoli.jpg 09 - Giuseppe sulle rocce finali.jpg 10 - Forato, Procinto, Nona e Matanna dalla cresta Sud del M. Gevoli.jpg 11 - Mirto e Giuseppe sul M. Gevoli.jpg 12 - La cresta Sud del M. Gevoli dall'Agriturismo Il Paesaggio.jpg Mappa_M._Gevoli_cresta_Sud.jpg

 

Itinerario Strada Corvaia/Ceragiola 180 m c. – Cresta ONO M. Costa – M. Costa 564 m – Sella del M. Costa 531 m – Cava di marmo Le Grotticelle 508 m – Versante So La Penna – Sent. per Vitoio – Casellini 294 m – Piano di carico 267 m – Versante SO M. Costa – Strada marmifera Ceragiola /Castello – Strada Corvaia/Ceragiola 180 m c.
Difficoltà EE con passi di I - II grado (aggirabili) la cresta ONO del M. Costa; E il resto
Dislivelli salita: 524 m; discesa: 524 m
Ore effettive Strada Corvaia/Ceragiola - M. Costa 2h 30'; M. Costa - Sella del M. Costa 0h 30'; Sella del M. Costa - Cava Le Grotticelle 0h 05'; Cava Le Grotticelle - Casellini 0h 50'; Casellini - Piano di Carico 1h 00'; Piano di Carico - Strada Ceragiola/Castello 0h 50'; Strada Ceragiola/Castello - Strada Corvaia/Ceragiola 0h 30'
Periodo migliore Ottobre - Aprile
Partecipanti Giuseppe Berti, Mirto Blasich
Siamo stati il 14 Marzo 2004

 

Il M. Costa è l'ultima cima della cresta che dal M. Lieto scende verso Ovest. Malgrado la quota modesta e l’aspetto poco appariscente, riserva piacevoli sorprese: la cresta Nord-Ovest è rocciosa ed interessante, numerose vecchie cave occupano i fianchi della montagna ed il panorama è molto suggestivo. Per contro, durante la nostra esplorazione, ci siamo imbattuti in discesa in ampie zone infrascate o pericolose per la presenza di detriti instabili: la prossima volta bisognerà scoprire se c’è ancora un sentiero che dal paese di Castello sale verso il M. Costa.

 

Salita

L’itinerario ha inizio dalla strada che collega l’abitato di Corvaia alla frazione di Ceragiola: la Via di Ceragiola. Al 9° tornante (curva verso sinistra: 180 m c.) conviene parcheggiare, anche perché c’è posto sufficiente per qualche auto.

Continuando a salire lungo la strada asfaltata, si giunge in breve al suo termine presso un paio di ville. Poco prima dei due edifici si trova a destra una traccia di sentiero (190 m c.) che s’inoltra nel fitto lecceto puntando verso la cresta ONO del M. Costa, che si raggiunge in corrispondenza di un piccolo ripetitore.

Da qui conviene seguire il crinale, in genere spoglio di vegetazione e per lo più roccioso, che con andamento regolare conduce alla vetta. Gran bella vista sulla dorsale del M. Folgorito – M. Carchio – M. Focoraccia fino al M. Altissimo, sulla Valle del Serra, sul M. Cavallo di Azzano, su M. Corchia e Pania della Croce, nonché sulla Valle del Fiume Versilia.

Le difficoltà della salita non raggiungono in genere il I grado, tuttavia occorre un minimo di attenzione ed equilibrio nell’affrontare alcune fasce di solidi lastroni calcarei. Solo in un punto, in corrispondenza di una vecchia cava sul versante marino, la cresta si fa abbastanza affilata ed aerea ed il suo superamento integrale oppone un paio di brevi passaggi di II grado, comunque aggirabili sul versante opposto con qualche disagio per la presenza di bassa vegetazione.

Un’ultima salita nel bosco, sfruttando alla meglio le tracce degli animali, porta alla cima del M. Costa (564 m) che si presenta come un piccolo spiazzo tra i lecci, con panorama in parte ostacolato dagli alberi. Su un paio di massi alcune incisioni indicanti visite risalenti al XIX secolo.

Interessante la vista sul M. Cavallo di Azzano, mentre veramente bella la veduta sul M. Procinto che assomiglia ad una di quelle cime che emergono dalle foreste tropicali.

 

Discesa

Dalla vetta del M. Costa si prosegue in direzione del M. Lieto, che si trova verso Sud-Ovest. Mantenedosi nei pressi dello spartiacque boscoso, si passa accanto ad un paio di ruderi. Più avanti cumuli di detriti e resti di quelle che paiono trincee: assieme ai ruderi appena lasciati, forse si tratta di tracce della Seconda Guerra.

Si giunge alla Sella del M. Costa (531 m), boscosa sul lato mare e con una piccola radura erbosa sul lato opposto. E’ curioso notare che una trincea attraversa il valico. Piegando verso destra, sul lato mare, si vede nel bosco un muro a secco che delimita una zona di forma rettangolare. Sembra che sulla destra del muro, lato M. Costa, corra un sentiero: forse è quello che scendeva a Castello (sulla tavoletta IGM è in effetti rappresentato un sentiero a tornanti stretti: possibilità tutta da verificare).

Dirigendosi, scendendo dalla sella, subito verso sinistra, si va ad una cava di marmo abbandonata (località Le Grotticelle). Il luogo è veramente suggestivo, in quanto il taglio di cava e il relativo, imponente, ravaneto hanno tenuto alla larga la vegetazione invadente consentendo la visione di un panorama vastissimo su tutta la piana sottostante ed naturalmente sul mare (il ravaneto è ben visibile anche dall’Autostrada A12). Infine, sul bordo del piazzale di cava si trovaun masso squadrato (m. 508) con 4 fori che probabilmente dovevano servire da alloggio a dei pali di una teleferica oggi non più esistente.

Nei pressi del masso squadrato si trova una buona traccia che scende nel bosco di carpini e castagni. Persi circa 30 metri, si lascia a sinistra un’altra buona traccia che, in salita, sembra dirigersi in direzione del M. Lieto. Altri 50 metri circa di discesa ed il sentiero piega verso sinistra; nel corso della nostra esplorazione abbiamo provato, senza buoni frutti, ad andare verso destra: dopo un po’ il sottobosco diventa impenetrabile.

Ripreso il sentiero, lo si segue ancora per poco: ad un bivio (nei pressi una grossa roccia appuntita è stata appoggiata sul tronco di un pino) abbiamo preso a destra, perdendo rapidamente quota dentro una macchia di alte stipe, incontrando una traccia trasversale di sentiero (siepe di bosso: il sentiero che prosegue giù dritto conduce in breve a dei ruderi posti al sommo di un oliveto abbandonato; altre tracce continuano a scendere, ma si interrompono presto contro rovi e sterpi fittissimi).

Bisogna dunque prendere il sentiero della siepe di bosso, verso sinistra, che ha un andamento in lieve discesa e si dirige verso Sud-Ovest (dunque in direzione di Vitoio) allontanandosi da Castello. Entrati in una pineta, si presenta ancora un bivio (ometto; 320 m c.): a sinistra probabilmente si va al paesetto di Vitoio (310 m) in pochi minuti. A destra invece si giunge altrettanto velocemente alla costruzione di Casellini (294 m): una piccola strada sterrata collega questa frazione all’abitato di Castello.

Volendo mantenersi in quota, si scende  a mezza costa per i coltivi e si attraversa l’impluvio: una traccia di sentiero prosegue in lieve discesa su terreno prevalentemente aperto, ma ben presto si infrasca. Bisogna allora salire sulla destra su un ripido ravaneto, scavalcare un costone e scendere lungo un altro ravaneto (alcuni massi squadrati), ritrovando una debole traccia quasi del tutto infrascata ma ancora percorribile che conduce in lieve discesa ad un oliveto ancora curato.

Anziché scendere ancora, si attraversa in quota raggiungendo una strada sterrata (250 m circa) in corrispondenza di una curva a sinistra. La pista termina presso alcuni edifici che hanno tutta l’aria di essere un piano di carico (267 m) per il marmo estratto dalla soprastante cava appena visitata. Si nota, 30 metri più in alto, una cabina elettrica; alla sua sinistra, ma lontano da esso, si vede anche un arrugginito serbatoio metallico di forma cilindrica. Il sentiero che avremmo voluto trovare probabilmente scende dalla cava fino alla cabina e di qui al piano di carico.

Si presenta ora il problema di tornare alla macchina senza perdere troppa quota. Di attraversare il pendio della montagna dal piano di carico, non se ne parla, perché si presenta un profondo taglio di cava. Non resta che salire ripidamente per terreno molto instabile (vecchio ravaneto), guadagnando circa 50 metri (il serbatoio arrugginito rimane sulla destra un poco più in basso) e raggiungendo una sorta di grande terrazzo detritico pianeggiante (328 m).

Guardando verso il basso, si vede da qui una vecchia strada marmifera: si scende a vista ripidamente fino a raggiungerla (280 m), dopo di che si continua lungo la strada, perdendo quota progressivamente. Trascurata sulla sinistra una diramazione (240 m; porta al taglio di cava che si è dovuto aggirare dal piano di carico), si compiono due tornanti (239 m e 215 m rispettivamente) ed in corrispondenza del terzo (193 m) si trova, non molto visibile a prima vista per via degli alti cespugli, una vecchia marmifera. Quest’ultima scende moderatamente, in traversata lungo il fianco della montagna, e serve un paio di cave abbandonate prima di sbucare sulla Via Ceragiola nei pressi del tornante dove si è lasciata l’auto.

 


 

01 - Il M. Costa dalla cresta NW.jpg 02 - Mirto sulla cresta NW del M. Costa.jpg 03 - Giuseppe sui lastroni.jpg 04 - Un passaggio un po' delicato.jpg 05 - Un bel passaggio di roccia.jpg 06 - Presenze di ieri e di oggi.jpg 07 - Giuseppe sul M. Costa.jpg 08 - Mirto sul M. Costa.jpg 09 - Due anemoni annunciano la primavera.jpg 10 - Mirto sulla terrazza panoramica.jpg 11 - Giuseppe sulla terrazza panoramica.jpg 12 - Giuseppe costruisce un ometto di pietre.jpg Mappa_M._Costa_cresta_ONO.jpg

 

 

Itinerario S. Anna di Stazzema (case alte) 740 m c. - Foce di S. Anna 831 m - sent. 3 - Cresta NO M. Lieto - M. Lieto 1019 m - Cresta NO M. Lieto - Foce di S. Anna - S. Anna di Stazzema (case alte) 740 m c..
Difficoltà E
Dislivelli salita: 301 m; discesa: 301 m
Ore effettive S. Anna di Stazzema - Foce di S. Anna: 0h 20'; Foce di S. Anna - M. Lieto: 0h 40'; M. Lieto - Foce di S. Anna: 0h 30'; Foce di S. Anna - S. Anna di Stazzema: 0h 15'.
Periodo migliore Ottobre - Aprile
Partecipanti Giuseppe Berti, Giovanni Blasich, Mirto Blasich, Gemma Sklemba
Siamo stati il 01 Maggio 2006

 

Testo di: Giovanni Blasich


Per festeggiare la festa dei lavoratori (e dei pensionati, ex lavoratori) Gemma ed io accettiamo volentieri l’invito di Giuseppe a partecipare ad un’escursione facile facile  sulle Alpi Apuane.

Usciti dall’autostrada a Camaiore, ci dirigiamo verso l’interno ed inizia subito la salita.

Un cartello avvisa che stiamo entrando nel Parco Nazionale della Pace di Sant’Anna di Stazzema.

La strada è costeggiata da prati in fiore, in particolare ginestre, papaveri, glicini. Giuseppe ricorda che i fiori di sambuco sono molto buoni, fritti, soggiungendo che il frutto della stessa pianta è utilizzato per fare sciroppi e marmellate.  Nel corso della stessa lezione di botanica apprendiamo che le foglie della valeriana rossa si possono mangiare come verdura al pari di tante altre piante.

Superata la frazione de La Culla, dove entriamo nella nebbia, arriviamo verso le 10 al gruppo di case che costituiscono il borgo di Sant’Anna di Stazzema (740 m), conosciuto per l’eccidio avvenuto nell’agosto del 1944. Dopo qualche indecisione sul sentiero, da prendere iniziamo la nostra camminata nei pressi di una sbarra, non più esistente.

Una scritta recita “Se di qui vuoi passare finisci di pagare”. In lieve pendenza, il sentiero si sviluppa nel bosco. Il viottolo è formato da pietre posizionate con cura, segno di un antico passaggio. Ad una curva a cielo aperto il nostro gruppetto si ferma. Giuseppe e Mirto hanno riconosciuto sul terreno vari ciuffi di santoreggia e si mettono a raccogliere le tenere erbette.

Ne approfitto per ammirare ciò che mi circonda. In lontananza vedo il porticciolo di Viareggio ed il mare. Di fronte a noi il borgo di Sant’Anna di Stazzema, con la chiesa il bel campanile, il sacrario a ricordo dei suoi caduti. Da una casa si leva leggero del fumo; un cane abbaia in lontananza, voci di bimbi nel bosco a cui fa da contrappunto il cinguettio degli uccelli, un aereo ci sorvola alto, al di sopra delle nuvole, sulla rotta Ambra uno.

Riprendiamo il cammino facendo attenzione a non calpestare le pratoline che crescono in mezzo al sentiero. Ad un bivio un cartello segnala il percorso del sentiero naturalistico che si sviluppa da Capriglia e Capezzano, due località a monte di Pietrasanta, fino a Fornovalasco. Ad un successivo bivio deviamo per visitare il luogo dove sorge una bella masseria, ristrutturata a dovere e dotata anche di teleferica per il trasporto dei materiali.

Ripreso il sentiero principale arriviamo in beve alla base della palestra di roccia dove vent’anni fa si allenava anche Giuseppe. Alcune fantasiose scritte segnano le vie di salita: Il graffio del leone, Roberta, Heavy horses, Tempesta. Poco oltre, sosta per una merenda, con vista della vallata boscosa.

Di nuovo in cammino,  lasciamo a sinistra il sentiero principale e saliamo sulla destra sulla cresta boscosa del nostro monte. Ogni tanto si incontrano ciuffi di giunchiglie, di orchidee gialle (o pallide), di grosse margherite gialle. L’arrivo in vetta alle 12,35 è salutato da un volo di rondini. La coltre di nubi ci impedisce di vedere le montagne circostanti. Per un breve lasso di empo scorgiamo Stazzema e Pomezzana, poi più nulla. Sosta fino alle 14. Ne approfitto per mangiare qualcosa, salutare al telefono Massimo che festeggia gli anni ed anche per dormicchiare un poco, nonostante l’ininterrotto parlare a voce alta di Giuseppe.

La discesa, che tanto preoccupava Gemma per il terreno scivoloso, non reca problemi di sorta. Giuseppe non manca di richiamare la nostra attenzione su altre piante quali il carpine, il lichene fogliuto e crostoso, la stipa in fiore e l’erica.

Tornati alla macchina, siamo tutti d’accordo di fare sosta a Sant’Anna di Stazzema.

Nei pressi della chiesa una lapide posta su un piccolo monumento ricorda con parole semplici il tragico avvenimento dell’ultima guerra che ha reso tristemente famoso questo posto.

“In questa piazza il 12 agosto 1944

un’orda di tedeschi imbestialiti

dall’ideologia della morte

stroncarono e bruciarono con nazistica ferocia

centinaia di uomini, donne e bambini

null’altro rei che di aver chiesto a questi monti

riparo dalla furia della guerra”

 

Per giungere fino al sacrario dove riposano i resti delle vittime, percorriamo una via crucis nel bosco. Ad ogni stazione ci sono due formelle in bronzo: una rappresenta una scena della passione, l’altra narra per immagini la tragedia umana che si è consumata in questo luogo.

Il Sacrario, semplice ed austero, si erge sulla sommità di una breve rampa.

Una lapide recita:

“La Versilia tutta

commemorando i suoi martiri

innalza questo monumento.

per esprimere amore e perdono

E’ la risposta alla folle ira

che si abbattè come folgore

su 560 innocenti”

 

Un’alta stele riporta i nomi dei caduti con l’indicazione dell’età, con la precisazione  che l’elenco è incompleto. La vittima più giovane aveva solo tre mesi: fra le persone più anziane si annovera un vecchio di 80 anni e tre di 70. Non penso che il processo penale, tuttora in corso a La Spezia potrà mai rendere giustizia ai morti ed ai pochi sopravissuti

Giuseppe che ha recuperato nel bosco un pezzo di tronco segato, esclama: “Se sapesse parlare…!”.

Nei pressi del museo in restauro (riaprirà il 12 agosto 2006) un’altra lapide riporta uno scritto di Pietro Calamandrei che si rivolge al “camerata Kesserling” per ricordare che quelli che hanno combattuto da queste parti lo hanno fatto “per dignità non per odio”.

La nostra presenza qui mi sembra rappresenti un umile omaggio a quella gente innocente morta per la nostra libertà ed inoltre una risposta all’invito del nuovo Presidente della Camera a ritrovare le radici della Carta Costituzionale attraverso le parole di Calamandrei.

 


 

01 - Le falesie del M. Lieto.jpg 02 - Doronico di Colonna.jpg 03 - Sul M. Lieto.jpg 04 - Sul M. Lieto.jpg 05 - Lungo la via d'accesso al Sacrario di S. Anna.jpg 06 - Il Sacrario di S. Anna I.jpg 07 - Il Sacrario di S. Anna II.jpg 08 - La lapide che riporta l'elenco delle vittime del feroce rastrellamento.jpg Mappa_M._Lieto_da_S._Anna_di_Stazzema.jpg